Critica

“il compito di creare”

La pittura può essere razionale, espressiva o ancora simbolica.
Può essere fredda ma anche viscerale. Spesso si vuol delimitarne il campo, si sente dire, questa è pittura questa no, però compito del dipingere è sempre quello di creare un’immagine e il suo valore non ha bisogno di barricate o steccati. Il compito del pittore è quello di creare un’immagine che sappia coinvolgere chi la guarda. Il tipo di coinvolgimento non ha importanza, può essere emotivo, mentale o altro. La qualità è il grado di questo coinvolgimento.

Mauri crea il quadro tramite “parole” e quindi simboli, cielo, mare, Michelangelo, fiore, ma le sue parole sono immagini, le prende dal mondo che lo circonda e che più lo colpiscono sensorialmente. Attraverso le parole costruisce la sua immagine mentalmente, vede il quadro, lo determina, non ha l’incubo del bianco. Il bianco è solo il tavolo dove lui appoggia la sua intuizione già definita.

La tecnica che usa è conseguente a ciò. L’ha costruita come si costruisce una casa, mattone su mattone. Una tecnica meticolosa, lenta, il cui compito è rendere visibile nel modo più chiaro e netto possibile la sua idea. Il tempo di esecuzione è quello dei monaci medioevali, non legato al correre continuo delle ore al di fuori dei contorni della tela. Ed è proprio questo abbandonarsi completamente all’esecuzione del suo simbolo, è la piacevolezza del lavoro antico, artigianale, che non si ferma al manufatto ma esprime la personalità dell’esecutore che rompe il gelo della parola detta e coinvolge lo spettatore.

Quando si guarda un quadro di Mauri non bisogna restare in superficie, lasciarsi rapire dall’abilità dell’esecuzione, ma farsi trasportare da essa per giungere al cuore del suo fare pittura che è idea e sensibilità, diventare partecipi dei suoi racconti tra sogno e realtà.

Mario Rocca


“Quello che la mente dipinge”

Stendere il colore sulla tela per vedere con gli occhi quello che la mente dipinge: incontri immaginari, dialoghi virtuali tra le Muse e l’Artista. Fermarsi un attimo e ascoltare con attenzione la voce della Musica, lo Spirito sonoro che vibra sospeso nell’aria.

Guardarsi intorno e cogliere il canto vibrante di un passo di Danza, scoprire la Scultura in un dipinto. Così nascono le più recenti opere di Roberto Mauri,  visioni che materializzano sulla tela il concetto portante dell’intera mostra: é la pittura che celebra le Muse “sorelle”, Danza, Scultura, Musica, mostrando come lo slancio creatore presente in ognuna di esse le accomuni abbattendo le barriere formali che a volte le separano.

Per far ciò, Mauri mescola la ricerca con un rapporto di continuo dialogo con l’antico, con la Tradizione che egli sente sempre presente; non ha paura di dimostrarle il proprio amore, facendo incontrare Leonardo e Michelangelo,  invitando i Musici di Piero della Francesca a duettare con vibranti macchie di colore.

Con loro porta avanti un progetto nato circa trent’anni fa e sempre rispettato, con le intuizioni dell’artista e la modestia di chi, amando profondamente la Pittura, sa di non poter prescindere da essa, cioé dal “dipingere”. Continuità nell’innovazione: questo è il cardine dell’opera tutta di Mauri. Siamo fra coloro che hanno avuto la fortuna di essere presenti dall’inizio di questa avventura; abbiamo seguito Mauri lungo tutto il percorso della sua attività: siamo certi che quanto oggi esposto rappresenti, pur nella sua completezza, solo una tappa dell’iniziale progetto, che, come l’arte stessa, mai potrà trovare conclusione.

Enzo Errani


“Un felicissimo anacronismo”

In un’epoca in cui persino il “ready-made” di Duchamp è vecchio un secolo, è sorprendente che una pittura come quella di Mauri risulti quanto mai contemporanea al pubblico che la osserva.

L’estetica di Mauri vive infatti di un felicissimo anacronismo, un compromesso tra una tecnica di stampo rinascimentale e un occhio sempre attento all’attualità, che non si incaglia in un nostalgico classicismo ma che riceve stimoli sempre nuovi, derivino essi dal presente storico o dalla sintesi dei grandi maestri che hanno accompagnato l’artista per tutto il corso della sua carriera. Il risultato di quest’incontro non è mai casuale o improvviso, ma dovuto ad una meticolosità certosina e ad una quotidianità quasi rituale del mestiere di pittore. Dietro ogni opera di Mauri si cela un progetto ben preciso, un concetto che viene espresso dalle sole immagini con la chiarezza di un testo in prosa ma senza mostrarsi pesantemente didascaliche. Per questo è difficile intavolare un discorso sull’arte di Mauri: essa già si spiega solo osservandola.

Giacomo Riva


“Resistenza Spontanea”

Natura protagonista e antagonista in un dialogo tra generazioni

Rallentando il passo mentre frettolosamente camminavo per le vie della mia città, mi accorsi di piccole macchie di colore nel verde, e mi abbassai a guardare…

Così comincia il racconto che ho scritto per accompagnare lo sguardo di chi osserva le tavole dipinte di Spontanea. Ecco,”rallentare”, penso sia proprio questo il verbo che meglio spiega l’intenzione; lenta, lunga e laboriosa è la tecnica pittorica che ho deciso di utilizzare, perché solo indugiando con sguardo lento è possibile scoprire tutti i piccoli dettagli rappresentati. Non si tratta di maniacale manierismo piuttosto dell’uso di una tecnica pittorica necessaria per ri-portare a vedere quanta e quale sia la bellezza di ciò che non guardiamo più.

Ma torniamo un passo indietro. Rientrata nello studio che condivido con mio padre Roberto Mauri, pittore da oltre 50 anni, racconto a lui la mia esperienza visiva e l’intenzione di costruirne un racconto pittorico; papà però non condivide lo spirito “ottimista” che mi anima e mi ricorda piuttosto di quante e quali siano le sofferenze inflitte dall’uomo alla natura ed i danni ad essa provocati anche in tempi recenti da comportamenti criminosi; produce così di getto una serie di bozzetti, sottolineando come a volte l’arte possa e debba essere anche denuncia, monito.

E’ così, dialogando “a colpi di pennello”, che nasce l’idea di “RESISTENZA SPONTANEA”, una mostra che percorre le due facce dell’ambiente: il resistere, lo sforzo necessario fatto per opporsi a ciò che ci danneggia, la spontanea capacità di sopportare come reazione immediata e naturale ad un evento, ma anche la spontanea meraviglia che nasce guardando ciò che la Natura riesce a fare con pochissimo, spesso quasi niente.

Cinzia Mauri


“Le voci dei Maestri”

Voci lontane, sempre presenti. Voci di maestri che hanno lasciato un’impronta nella storia dell’umanità. Richiami a cui nessun artista, oggi, può tentare di sottrarsi. Neppure volendolo.

E Roberto Mauri lo sa bene, da sempre. Un filo rosso lega l’impenetrabile sguardo dei personaggi di Piero della Francesca alle arcaiche bagnanti di Picasso, le possenti e vitali figure di Michelangelo alle più provocatorie esperienze delle avanguardie del nostro secolo. È cosa nota, certo. Forse addirittura scontata. Ma, proprio per questo, troppo spesso dimenticata. Con umiltà, con devozione, con passione autentica, Mauri è tornato al cospetto dei più grandi maestri di tutti i tempi, alla ricerca di un dialogo, di un confronto perfino.

Del sommo e schivo Piero analizza il segno, del Buonarroti sonda l’impeto, del Canova studia la composizione, di Picasso la forma. Mai sostando in superficie, mai accontentandosi dell’apparente. Scava, Mauri, tenacemente, caparbiamente. Di ogni capolavoro del passato, prossimo e remoto, egli vuole spremerne l’essenza, suggere il nettare divino. E per fare questo scompone, seziona, verifica, rielabora. Non con l’asettica precisione d’uno scienziato positivista, ma con il travolgente affetto di un vero artista, con l’afflato romantico d’un poeta.

È così che nascono queste recentissime opere di Roberto Mauri, ponte ardito, ma solidissimo, tra Sedicesimo e Ventesimo secolo, tra Rinascimento e Terzo millennio. Sotto l’abile mano di Mauri i ritratti di Battista Sforza e di Federico di Montefeltro evadono dalla raffinata e turbolenta corte d’Urbino per diventare immagini senza tempo dell’umanità intera, i giudicati della Cappella Sistina abbandonano i limiti loro assegnati per vagare incontenibili in uno spazio senza confini, le odalische di Ingres assistono impassibili a rivoluzioni epocali. Già, perché Mauri, si diceva, è umile, ma non sottomesso.

Egli non abdica alla propria creatività, non rinuncia al proprio spirito. Com’è giusto e come dev’essere. Perché solo così il dialogo tra passato e presente, anche e soprattutto nel mondo dell’arte, può dar frutto. Sfondi compatti e omogenei, esplosioni improvvise di colore, lame di luce che squarciano tenebre lontane, sagome emblematiche ed eloquenti, sorprendenti giochi ad incastro… Sono questi gli scenari in cui Mauri fa rivivere i protagonisti di cinque secoli di pittura, calandoli in un mondo astratto e personalissimo, eppure coinvolgente e familiare, operando più come un novello demiurgo che come un abile burattinaio: perché Roberto mai oserebbe trattare il Duca di Piero o l’Arlecchino di Picasso come un qualcosa di inanimato. I nuovi dipinti di Mauri appaiono dunque come il risultato di un’eruzione interiore, invisibile e silenziosa, ma non per questo meno impressionante e grandiosa. Opere scaturite con forza da immagini quasi ossessive, ma mai inquietanti, mai spigolose. E non perché l’autore voglia apparire a tutti i costi rassicurante, ma perché le sue tele riflettono quel consapevole, maturo ottimismo di fondo di fronte alla vita che è una delle caratteristiche più amabili dell’uomo Roberto Mauri.

Luca Frigerio


“Mauri e la Pittura”

Mauri è la pittura!

Non si può iniziare in modo diverso un ragionamento sull’arte di Roberto Mauri.

Stupendo interprete della modernità, acuto osservatore – certamente non politicamente corretto – della nostra società, ha saputo, sfruttando sapientemente le innate capacità tecniche, percorrere il nostro tempo con la coerenza dell’artista che, come scrivevo ormai molti anni fa, “non ha paure o timori nel dimostrare il proprio amore per Giotto o Paolo Uccello, per Leonardo o Bruegel, anzi tramite loro e “con” loro porta avanti un  progetto nato circa trent’anni fa e sempre rispettato, con le intuizioni dell’artista e la modestia di chi, amando profondamente la pittura, sa di non poter prescindere da essa, cioè dal “dipingere”.

Ripetizioni? No! Continuità nell’innovazione, con una mai conclusa ricerca dei materiali, dal supporto – chi fra di noi vecchi amici non ricorda le stupende “sete” di Roberto – all’utilizzo di materiali diversi (olio, tempera, acrilico, matita, ecc..) sapientemente “mescolati” per raggiungere e coinvolgere il riguardante.

La lunga amicizia, la sempre immutata stima e, perché no, anche un “pizzico di invidia” nei confronti di Roberto, mi permettono di chiudere queste poche righe ricordando come ogni mostra, ogni esposizione ogni – oserei dire – sua singola tela, altro non sono che una ulteriore tappa del disegno-progetto di un artista che crede nel lavoro, nella ricerca portata avanti con un disincanto condito da quella sana ingenuità giustamente esaltata da Paul Klee. Grazie Roberto!

Enzo Errani